È il nome di un’erba selvatica perenne (Silene vulgaris o inflata o venosa o cucubalus) appartenente all’ordine delle Centrosperme, famiglia delle Cariofillaceae, genere Silene. Conosciuti nelle varie regioni anche col nome di stritoli,
bubbolini, verzini, verzitt, sciopeto, sclupit, scoppietti,
schioppettini, erba del cucco, cannatedda, silene rigonfia, erba du
pridicaturi. Questa diversità di nomi è giustificata dalla sua
popolarità. Presso la gente di campagna viene apprezzata come una
delizia della mensa. Il nome del genere (Silene) deriva da Sileno, divinità panciuta, come panciuti sono i calici di questo genere di piante; il nome cucuba1us
ricorda invece il Cuculo, annunciatore della primavera, quando questa
compare, mentre il nome della pianta deriverebbe, secondo alcuni, dal
fatto che a primavera dà origine a decine di rosette fogliari, carnose e
tenere, che se fatte rotolare fra le dita stridono (stritolo,
strigolo), mentre altri lo fanno derivare dall’uso che ne facevano le
streghe nelle loro pozioni magiche, per cui veniva chiamata “erba delle
streghe”, quindi “strigoli”. Il genere Silene comprende numerose specie
erbacee spesso coltivate nei giardini come ornamento; alcune di queste
non mancano mai nei giardini rocciosi. Quella che interessa a noi è una
comunissima erba dei prati, che troviamo frequentemente anche lungo i
margini delle strade, nelle vigne, nei campi seminati e nelle zone
incolte dalla pianura alla collina e in montagna fino a 2.000 m. di
altitudine. È molto facile riconoscerla quando è allo stato adulto
perché le sue infiorescenze bianco-rosee hanno il calice rigonfio a mo’
di palloncini pieni d’aria: questi, se serrati con le dita all’apertura e
schiacciati su una superficie producono un piccolo scoppio, da cui il
nome di “scoppietti”. La parte gastronomicamente interessante di questa
pianta, che contribuisce ad arricchire di sapore il fieno dei prati, è
data dalle sue foglioline e dai getti teneri che sono tra i primi a
spuntare in primavera. Quando la pianta è adulta può raggiungere
l’altezza di 60 cm e spicca tra le altre erbe con i suoi palloncini
leggermente penduli, segnati ognuno da 20 distinte nervature. I petali
in numero di 5 sono bifidi, di colore biancastro sbiadito e fanno corona
ai lunghi stami che emergono dall’orifizio. Le farfalle si posano
volentieri su questi fiori, all’imbrunire, favorendo l’impollinazione.
Se si raccolgono i getti teneri, la pianta ne emette degli altri in
abbondanza e nei prati falciati è tra le prime erbe a rispuntare
Caratteristiche botaniche È
una pianta con una grossa radice nodosa che si ramifica e striscia,
emettendo ciuffi qua e là e formando dei piccoli cespugli. Le foglie, di
colore verde glauco e di forma lanceolata, lisce, glabre e un po’
carnose hanno apice acuto; sono opposte, senza picciolo e sì inseriscono
2 a 2 simmetricamente in corrispondenza di ingrossamenti del fusto,
perpendicolarmente al paio sottostante; strofinate tra le dita danno una
caratteristica sensazione tattile che ricorda quella delle foglie di
cavolo. Il fusto eretto, ascendente e glabro, si ramifica nella parte
alta prima della vistosa infiorescenza a corimbo; esso emette una
sostanza biancastra appiccicaticcia. I fiori sono bianchi (di rado rosa o
violetti) e il calice particolarmente rigonfio (da cui inflata)
presenta nervature a reticolo. Le radici, di proporzioni talvolta
enormi, sono lunghe anche mezzo metro, con diverse diramazioni della
grossezza di un pollice. I crespi ne risultano quindi nutriti e succosi.
Cresce in abbondanza nei prati, sia abbandonati che falciati, nelle
vigne, nei campi seminati e nelle zone incolte, per cui se ne può
raccogliere una quantità notevole in poco tempo.
In cucina
Bisogna coglierla solo quando è ancora tenera, prima che siano visibili
i boccioli, infatti sono proprio i getti primaverili e le foglie
principali che vengono consumati in insalata, frammisti ad altre
verdure, perché hanno un gradevole sapore agretto che stimola la
digestione. Più frequentemente però la pianta viene cotta ma anche in
questo caso deve essere sempre molto tenera, infatti se ne consumano i
fusticini, noti col nome di “coietti”, come fossero asparagi, e anche le
foglie, quando la pianta non è ancora in fiore (marzo-aprile), e si
cucinano sia in padella che per preparare ottime frittate, oppure
aggiunti ad altre erbe nei minestroni e nelle zuppe o cucinata come gli
spinaci.. Nel viterbese vengono anche chiamati “ammazzamogli”, per il
fatto che dopo cotti si riducono notevolmente, e quindi danno
l’impressione che la donna che li ha cucinati abbia avuto la visita
dell’amante. Una ricetta popolare la impiega rosolata nel burro per
preparare un magnifico risotto.http://tusciaintavola.tusciamedia.com/index.php
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