Proprieta', benefici e come sceglierle .
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martedì 31 dicembre 2013
lunedì 30 dicembre 2013
Terremoto
Ecco nel dettaglio la lista della Protezione civile da seguire in caso di sisma per proteggere la nostra sicurezza e quella di chi ci sta accanto:
- Se sei in luogo chiuso cerca riparo nel vano di una porta inserita in un muro portante (quelli più spessi) o sotto una trave. Ti può proteggere da eventuali crolli.
- Riparati sotto un tavolo. E’ pericoloso stare vicino ai mobili, oggetti pesanti e vetri che potrebbero caderti addosso.
- Non precipitarti verso le scale e non usare l’ascensore. Talvolta le scale sono la parte più debole dell’edificio e l’ascensore può bloccarsi e impedirti di uscire.
- Se sei in auto, non sostare in prossimità di ponti, di terreni franosi o di spiagge. Potrebbero lesionarsi o crollare o essere investiti da onde di tsunami.
- Se sei all’aperto, allontanati da costruzioni e linee elettriche. Potrebbero crollare.
- Stai lontano da impianti industriali e linee elettriche.E’ possibile che si verifichino incidenti.
- Stai lontano dai bordi dei laghi e dalle spiagge marine. Si possono verificare onde di tsunami.
- Evita di andare in giro a curiosare e raggiungi le aree di attesa individuate dal piano di emergenza comunale. Bisogna evitare di avvicinarsi ai pericoli.
- Evita di usare il telefono e l’automobile. E’ necessario lasciare le linee telefoniche e le strade libere per non intralciare i soccorsi.
domenica 29 dicembre 2013
Cibi tossici o pericolosi per i cani.
I
proprietari hanno spesso la pessima abitudine di dare al proprio cane
avanzi o scarti di cucina oppure di condividere con loro i propri
alimenti per premiarli e coccolarli. E’ però necessario fare molta
attenzione perché, in certi casi, questi alimenti non sono adatti a
loro, possono risultare pericolosi e provocare danni gravissimi, fino
alla morte. Ecco un elenco di cibi pericolosi per i cani. Per ogni
alimento viene riportato il tipo di disturbo che potrebbe insorgere.
Cioccolato e Cacao
Perché: il cacao contiene la teobromina, che può risultare tossica per
il cane. Ne bastano 50 grammi per intossicare un cane di taglia piccola.
Disturbi: dalle convulsioni all’attacco cardiaco e all’emoraggia interna fino – nei casi peggiori alla morte
Uva e uva sultanina
Disturbi: causano insufficienza renale e, nella maggior parte dei casi, la morte del cane.
Possono dare gli stessi problemi di cipolla e aglio nonché dolori addominali e perdita dell’appetito.
Sale
Perché: come per l’uomo, cibi molto salati possono rappresentare un pericolo per l’animale se non ha acqua a disposizione.
Disturbi: attacchi epilettici che portano al coma e alla morte.
Alcool
Perché: il cane non possiede gli enzimi adatti per metabolizzare questa sostanza.
Disturbi: può intossicare i cani (e i gatti) determinando vomito,
diarrea, perdita della capacità motoria, scompensi del sistema nervoso
centrale, tremori, difficoltà respiratorie, squilibri metabolici e coma.
Attenzione: grandi quantità di alcol possono determinare la morte
dell’animale per collasso respiratorio.
Tabacco
Perché: contiene nicotina, che colpisce il sistema digerente e nervoso
Disturbi: può portare a tachicardia, collasso, coma e morte.
Luppolo
Disturbi: difficoltà respiratorie, aumento della frequenza cardiaca, temperatura elevata, convulsioni e morte.
Caramelle e gomme
Perché: lo xilitolo, contenuto in molti di questi prodotti come dolcificante, è tossico per il cane.
Disturbi: abbassamento livelli di glucosio nel sangue, depressione del
sistema nervoso centrale, perdita di coordinazione e spasmi dopo 30
minuti dalla sua ingestione.
Macadamia
Spesso si usano negli snack per gli esseri umani. Possono essere tossiche anche a basse dosi (4-5 noci per un cane di 10 kg).
Disturbi: debolezza, depressione, vomito, tremori, febbre, dolori addominali, e pallore delle mucose, problemi neurologici
Zucchero (merendine e biscotti)
Perché: il cane assimila senza problemi glucosio e saccarosio, mentre
ha difficoltà a digerire il lattosio, spesso presente in merendine e
biscotti.
Disturbi: insorgenza di patologie come il diabete mellito.
Cipolle, aglio cavoli
Il loro effetto sul metabolismo è negativo 1-4 giorni dall’ingestione.
Disturbi: vomito, diarrea e urine di colore scuro sono i principali
segni clinici. Casi di anemia grave dovuti a dieta comprendente dosi
minime di cipolla protratta per anni.
Pomodori acerbi, foglie e germogli di patata
Perché: il grado di tossicità è legato all’ambiente di produzione:
contengono la tossina detta solanina che i cani non metabolizzano.
Disturbi: problemi all’apparato digerente, tachicardia, tremori affanno e irrequietezza.
Rabarbaro Foglie
Causa problemi se ingerita in grandi quantità (cotta o cruda).
Disturbi: convulsioni, coma e in casi estremi, morte.
Noce moscata e Semi di senape
Disturbi: convulsioni, tremori, problemi al sistema nervoso centrale e persino la morte.
Lievito
Disturbi: può produrre gas nell’apparato digerente, causando dolore e
possibile rottura dello stomaco o dell’intestino. Può anche rilasciare
etanolo, sufficiente a causare avvelenamento da alcool.
Avocado
Perché: foglie, frutto e semi contengono un principio tossico chiamato
persin. La varietà Guatemalteca (quella più diffusa nei supermercati)
pare sia la più tossica per i cani
Noci
Disturbi: ostruzioni intestinali. Le noci ammuffite possono causare convulsioni.
Semi e noccioli
Perché: contengono cianuro i semi di mela, i noccioli di ciliegia, di pesca, di albicocca e di prugna.
Disturbi: possono portare al coma.
Cibi grassi
Perché: i grassi, nella dieta del cane, non devono superare il 10%.
Nelle giuste quantità hanno funzione energetica, servono ad assimilare
vitamine e contribuiscono anche a mantenere morbidi pelle e cuscinetti
interdigitali e migliorano lo stato del pelo. Gli eccessi portano solo
all’obesità. La digestione dei grassi per il cane è la più difficile e
laboriosa ed è ancora più complessa se i grassi sono cotti.
Disturbi: predispongono l’animale a una serie di malattie (es. pancreatite) e a una vecchiaia precoce.
Insaccati
Perché: gli insaccati (mortadella, salsicce, prodotti salati ed
essiccati) e il prosciutto crudo contengono molto sale e grassi. La
pelle, inoltre, è pericolosa perché spesso il budello è sostituito da
un materiale plastico.
Disturbi: cvedi cibi grassi e sale. Inoltre possono essere fonte di infestazione di toxoplasmosi.
Fegato
Perché: in grandi quantità può causare tossicità della vitamina A, che
colpisce i muscoli e le ossa, e deposito di rame nel fegato.
Disturbi: può portare alla morte.
Omogeneizzati per bambini
Perché: spesso negli omogeneizzati è presente la polvere di cipolla
come aromatizzante, la cui minima quota può già essere responsabile di
danni a livello eritrocitario.
Disturbi: vedi cipolla.
Cibi avariati o scaduti
Disturbi: disturbi all’apparato gastro-intestinale (vomito e diarrea).
Caffè
Disturbi: oltre ai disturbi a livello gastrointestinale, la caffeina
può determinare alterazioni del ritmo cardiaco e, nei casi più gravi,
ictus.
Soprattutto nei periodi di festa si tende ad essere più
“permissivi” col proprio amico a 4 zampe, concedendogli assaggi dei
nostri alimenti. Questo mette seriamente in pericolo la loro salute!
Ti chiediamo di condividere questo post per diffondere le norme fondamentali sulla nutrizione del cane.
(Fonti: Patpassion.tv Focus.it, Pet Health e altre fonti)
Fukushima continua a fare sempre più danni
Nelle acque tra Giappone ed USA, la vita sembra sparita....
E’ una costante moria di uccelli quella che vi è nell’isola di Saint Lawrence, nella gelida Alaska: centinaia e centinaia di esemplari accasciati sulle coste senza vita, come se qualcosa avesse d’incanto fatto stoppare l’esistenza di un’intera colonia di animali. Ma non solo: orsi polari, foche, trichechi, molti di questi esemplari presentano piaghe, perdita di pelo, classici sintomi di malattie che le autorità definiscono “rare” o “strane”, ma che in molti accomunano senza grossi giri di parole alle radiazioni di Fukushima. Sempre nella zona, si calcola che l’80% dei salmoni rossi è sparito, non c’è più, quasi a lasciare un vuoto nella vita dell’ecosistema di questo territorio.Non solo in Alaska, ma anche in California si nota qualcosa di strano: alcuni pescatori od altri avventurieri soliti a cavalcare le onde del mare compreso tra il Giappone e la baia di San Francisco, notano che in alcuni punti la vita è praticamente scomparsa. “Di solito, incontriamo delfini, tartarughe, è un’esplosione di vita e vivacità; da un po’ di tempo, non c’è più nulla, tutto in silenzio, la vita sembra sparita” annota un frequentatore di quelle acque.
Secondo molti, le radiazioni di Fukushima, che i tecnici della TEPCO ammettono essere sempre più disperse nel sottosuolo della centrale danneggiata dallo tsunami dell’11 marzo 2011, si stanno pesantemente buttando nell’oceano e stanno raggiungendo le coste USA, provocando la moria di molti esemplari e soprattutto la contaminazione della vegetazione ittica. Un quadro devastante che, se confermato, imporrebbe una profonda riflessione.
http://www.centrometeoitaliano.it
venerdì 27 dicembre 2013
giovedì 26 dicembre 2013
Le 10 migliori tisane per raffreddore e influenza
sabato 21 dicembre 2013
venerdì 20 dicembre 2013
giovedì 19 dicembre 2013
domenica 15 dicembre 2013
venerdì 13 dicembre 2013
giovedì 12 dicembre 2013
Antigelo per vetri
La formula per un antigelo da spruzzare sul parabrezza gelato è: 2/3 di aceto e 1/3 di acqua.
domenica 8 dicembre 2013
sabato 7 dicembre 2013
venerdì 6 dicembre 2013
mercoledì 4 dicembre 2013
Una società umana altamente avanzata vissuta prima della fine dell'ultima era glaciale.
martedì 3 dicembre 2013
lunedì 2 dicembre 2013
domenica 1 dicembre 2013
sabato 30 novembre 2013
venerdì 29 novembre 2013
UN MECCANICO INVENTA IL SISTEMA PER RISPARMIARE CARBURANTE
giovedì 28 novembre 2013
mercoledì 27 novembre 2013
martedì 26 novembre 2013
lunedì 25 novembre 2013
sabato 23 novembre 2013
venerdì 22 novembre 2013
giovedì 21 novembre 2013
mercoledì 20 novembre 2013
martedì 19 novembre 2013
Lenticchie: proprieta', benefici e come sceglierle
Il pianeta Terra non sarà in grado di uscire dalla crisi ecologica
Un enigmatico oggetto ai confini del Sistema Solare
Come fare per riconoscere un uovo fresco o non
Sciogliete in una caraffa piena di acqua (un litro) 25 grammi di sale e poi immergete l'uovo:
1) se si appoggia sul fondo è freschissimo, da bere
2) se galleggia sul fondo è fresco (da 1 a 4 giorni)
3) se galleggia in sommità ma senza affiorare in superficie non è fresco
4) Se proprio galleggia in superficie è vecchissimo: NON LO MANGIATE!!!
1) se si appoggia sul fondo è freschissimo, da bere
2) se galleggia sul fondo è fresco (da 1 a 4 giorni)
3) se galleggia in sommità ma senza affiorare in superficie non è fresco
4) Se proprio galleggia in superficie è vecchissimo: NON LO MANGIATE!!!
lunedì 18 novembre 2013
domenica 17 novembre 2013
sabato 16 novembre 2013
Scoperti tunnel sotterranei che si estendono in tutta Europa!
venerdì 15 novembre 2013
Napoli, vietato bere e cucinare perché l'acqua è contaminata
giovedì 14 novembre 2013
Arrivano i pannelli solari superefficienti che sfruttano anche il calore
Ritirata marmellata Rigoni in Giappone perchè radioattiva
Il ritiro della confettura ai mirtilli Rigoni in Giappone perché "radioattiva" ha seminato il panico tra i consumatori. In realtà, dopo l'incidente di Fukushima, il Giappone ha imposto limiti più bassi rispetto a quelli europei.
La confettura di mirtilli Rigoni è radioattiva, è questo l'allarme circolato alcuni giorni fa. In realtà, la presenza di cesio 137 pari a 140 Bq/kg nella confettura Rigoni non deve preoccuparci: ecco perché.Il ritiro in Giappone e le norme europee
In seguito all'incidente di Fukushima, il Giappone ha fissato il limite massimo previsto per il cesio 137 a 100 Bq/kg per prodotti come le confetture. Per questo motivo, le autorità nipponiche hanno disposto il ritiro del prodotto. Precedentemente, invece, il limite era di 500 Bq/kg. E in Europa? Da noi il limite massimo previsto non può superare i 370 Bq/kg per i prodotti lattiero-caseari e per gli alimenti destinati ai lattanti e i 600 Bq/kg per tutti gli altri prodotti. La presenza di 140 Bq/kg nella confettura, perciò, rende il prodotto Rigoni conforme ai limiti previsti dalla legge.L'eventuale pericolosità dei quantitativi
Il limite massimo di 600 Bq/kg si raggiunge difficilmente negli alimenti. Per quanto riguarda invece l'eventuale pericolosità di questi quantitativi per la nostra salute, basti pensare che, per raggiungere il limite di sicurezza annuo (cioè il limite massimo di dose di radioattività assorbita) stabilito dalla legge italiana per la popolazione (quantità che va ad aggiungersi alla dose di radiazioni che assorbiamo per effetto della radioattività naturale), occorrerebbe ingerire almeno mezzo chilo di marmellata al giorno avente un contenuto di cesio 137 pari a 600 Bq/kg (cioè pari al limite massimo stabilito dalla legge).E se consumo 50 g di marmellata al giorno?
Se ipotizzassimo di ingerire due porzioni al giorno (50 g) di marmellata avente un contenuto di cesio 137 pari al limite previsto dall'Europa (600 Bq/kg), la dose di radioattività assorbita sarebbe pari al 10% del limite di sicurezza annuo. Utilizzando il valore di 140 Bq/kg rilevato nella marmellata Rigoni, invece, se supponessimo di ingerirne 50 g ogni giorno, la dose assorbita sarebbe pari al 2,5 % del limite di sicurezza annuo e corrisponderebbe all’1% di quella assorbita annualmente da ogni individuo per effetto della radioattività naturale.http://nlnmac.altroconsumo.it
mercoledì 13 novembre 2013
martedì 12 novembre 2013
La vera storia del KAMUT
Il Kamut, il grano dei faraoni del Montana
Di recente l’industria alimentare ha rispolverato i cosiddetti «grani antichi», particolari varietà o specie di grano che da decenni o secoli erano state abbandonate dal punto di vista commerciale perché poco remunerative. Alcuni agricoltori le hanno reintrodotte perché, nonostante abbiano rese più basse rispetto al frumento, possono essere coltivate in modo biologico in aree marginali e vendute a un prezzo superiore grazie al favore che incontrano presso i consumatori. Questi mostrano di apprezzare i grani antichi perché li percepiscono come «più naturali» e con interessanti proprietà nutrizionali. Dal canto loro, le aziende alimentari ne sono attratte perché consentono loro di diversificare la produzione in base alle esigenze dei consumatori. I grissini che acquisto io sono disponibili anche nella versione al frumento tradizionale, che costa meno ma piace meno in casa. Pasta e nuovi prodotti da forno (pane, biscotti, piadine, grissini ecc.) che contengono miscele di farine si trovano in gran quantità anche nei negozi specializzati in alimenti biologici e «naturali». Di sicuro, il cereale che riscuote più successo di tutti è il Kamut.
La leggenda racconta che, subito dopo la seconda guerra mondiale, un pilota militare americano abbia trovato in un’antica tomba vicino a Dashare, in Egitto, una manciata di semi vecchi di quattromila anni. Nel 1949 regalò trentasei chicchi a un amico, Earl Deadman, che li spedì a suo padre, un agricoltore del Montana. Quei semi vennero piantati e, miracolosamente, trentadue di essi germinarono, consentendo l’avvio di una piccola produzione. Portato in giro per le fiere agricole del Montana negli anni Sessanta come curiosità, quel cereale con i suoi chicchi grandi (il doppio rispetto al frumento comune) venne soprannominato «grano del faraone Tut». Nel giro di poco tempo la novità scemò e quel grano venne dimenticato.[i]
Nel 1977, i Quinn, una famiglia di agricoltori di Big Sandy nel Montana, recuperarono nello scantinato di un amico una scatola contenente quei semi, li seminarono e li moltiplicarono. Nel 1987 Bob Quinn, il più giovane della famiglia, con un dottorato in patologia vegetale e una buona propensione per gli affari, decise di usare un nome egizio per dare un’identità riconoscibile a quel grano e commercializzarlo. Consultando un dizionario dei geroglifici egizi nella biblioteca locale, accanto alla descrizione di grano e pane trovò la parola «kamut». Il 3 aprile 1989 Quinn registrò il nome Kamut e fondò la Kamut International.[ii] Non a caso nel marchio della società, presente su ogni confezione di prodotti di questo tipo, compare una piramide egizia. Kamut quindi non è il nome di una specie vegetale, ma un marchio registrato (da qui l’uso obbligatorio del simbolo ® su tutti i prodotti che lo contengono) che sfrutta a fini pubblicitari le sue supposte origini egizie, il fatto di essere un «grano antico» e, come vedremo, le sue presunte qualità nutrizionali.
Una leggenda accattivante
La farina di Kamut dei miei grissini è quindi la stessa che utilizzavano gli antichi egizi, arrivata a noi grazie a quel ritrovamento archeologico? No. La leggenda, sicuramente accattivante, è molto probabilmente inventata. È estremamente improbabile che dei semi possano germinare ancora dopo quattromila anni e, in più, pare che gli antichi egizi coltivassero farro e orzo. Il frumento si sarebbe diffuso in Egitto solo durante il periodo Tolemaico (332-330 a.C.).[iii]
Quando i biologi parlano di frumento, intendono più correttamente il «genere» Triticum, che comprende molte centinaia di specie diverse. Alcune le conoscete sicuramente: oltre al frumento duro (Triticum durum) con cui facciamo la pasta, e quello tenero (Triticum aestivum), più usato per il pane e la pasticceria,[iv] troviamo per esempio anche il farro (Triticum dicoccum). Nel corso dei secoli sono state coltivate in giro per il mondo, anche se non in modo così diffuso, altre specie di Triticum geneticamente simili al grano duro come il Triticum turgidum, specialmente le sottospecie polonicum e turanicum. Quest’ultimo è anche chiamato «grano orientale» o grano Khorasan, dal nome della provincia dell’Iran dove ancora oggi si coltiva. Ecco quindi spiegata l’origine di quel nome, Khorasan, sull’etichetta dei miei grissini.
Questo grano è stato descritto per la prima volta nella letteratura scientifica nel 1921,[v] ma alcuni accenni si trovano già nel secolo precedente. Pare che abbia avuto origine nella regione turca dell’Anatolia e sia stato coltivato, sebbene mai in modo intensivo, in zone marginali dell’Asia e dell’Africa settentrionale come l’Egitto, dove è ancora possibile trovarlo al mercato. Da lì, probabilmente, una manciata di semi è finita nel Montana. Non era quindi necessario vestire i panni di Indiana Jones e scavare nelle tombe egizie per scovare i semi del grano Khorasan: bastava andare al mercato, come probabilmente è successo. L’ipotesi più accreditata è che il Kamut sia una selezione relativamente moderna del grano orientale, e neppure la Kamut International spinge o diffonde più la storia del ritrovamento nella tomba, anche perché ormai non ce n’è più bisogno, data la popolarità ormai raggiunta da questo cereale.
La sua classificazione botanica precisa, così come la sua origine, è tuttora oggetto di dibattito, e studiosi diversi lo classificano e lo chiamano in modi diversi. Ciò è abbastanza comune nel caso del grano, poiché spesso specie differenti possono occasionalmente incrociarsi tra loro o scambiarsi materiale genetico, generando nuove specie o varianti delle originali, che a loro volta si possono incrociare, dando luogo a una rete intricata di rapporti di parentela. Ci sono scienziati che hanno dedicato la loro vita scientifica alla ricostruzione dell’albero genealogico del grano e, sebbene con le moderne analisi del dna si siano fatti enormi passi avanti, il quadro non è ancora del tutto chiaro.[vi] In ogni caso è comunque un parente geneticamente stretto del grano duro.
Uno studio dell’Università di Teramo e dell’Istituto sperimentale dei cereali ha dimostrato che le rese produttive del Khorasan sono tipicamente più basse e hanno una scarsa capacità di adattamento ai cambiamenti ambientali rispetto ad altre tipologie di grano.[vii] In generale, a confronto con le moderne varietà, le caratteristiche agronomiche dei grani antichi paiono inferiori essendo scarsamente resistenti a varie malattie e funghi, aspetti molto importanti per l’agricoltore. D’altra parte questi grani sembrano più adatti a essere coltivati in zone dove piove poco e l’irrigazione è scarsa. Una caratteristica peculiare dei chicchi di Kamut è che sono molto grossi, anche il doppio dei normali chicchi di grano, con un buon contenuto di glutine e di proteine. In generale le sue caratteristiche nutrizionali non sono molto diverse da molte varietà di grano duro, ma il sapore è diverso: come ho detto, i miei figli preferiscono nettamente i grissini di Kamut a quelli di frumento normale della stessa azienda.
Un marchio registrato
Il mondo dell’alimentazione è pieno di marchi aziendali, per cui non c’è nulla da stupirsi. La cosa più unica che rara in questo caso è che un’abile strategia di marketing ha indotto il grande pubblico ad associare il nome Kamut al grano Khosaran, e poiché il nome è un marchio registrato, nessuno lo può usare se non alle condizioni della Kamut International. Qualsiasi agricoltore, anche in Italia, può seminare il grano Khorasan, ma non lo può chiamare Kamut. Il valore commerciale del suo raccolto finisce così per essere talmente basso da non ripagare gli svantaggi della coltivazione, tra cui principalmente le basse rese.
Nel 1990 Bob Quinn ha chiesto e ottenuto la protezione di quella varietà vegetale registrandola all’USDA (il ministero dell’Agricoltura statunitense) con il nome ufficiale di QK-77.[viii] A tutti gli effetti ne è diventato il «proprietario», perché un «certificato di protezione» è una specie di brevetto e conferisce a chi lo detiene quasi gli stessi diritti di proprietà intellettuale. In particolare, una volta diventata «proprietaria» della varietà QK-77, la Kamut International era l’unica titolata a commercializzarla. Se un agricoltore avesse voluto seminare quei semi e vendere il prodotto, non avrebbe potuto farlo senza l’autorizzazione della società e il relativo pagamento delle royalties.
Solo le aziende autorizzate possono acquistare, commercializzare e macinare questo cereale. La produzione del Kamut è regolata in modo molto rigoroso e sotto lo stretto controllo dalla Kamut International: deve avvenire in modo biologico certificato e rispettare una serie di norme.[ix] È coltivato quasi esclusivamente nel Montana e negli stati canadesi dell’Alberta e del Saskatchewan. La Kamut International afferma che sono stati fatti tentativi sperimentali di coltivazione del grano orientale in Europa (e anche in Italia), ma con poco successo sino a ora.[x]
Gli agricoltori che coltivano il Kamut sono scelti in base alle esigenze del mercato dalla Kamut International, che vende loro i semi e rileva il raccolto a un prezzo prestabilito, solitamente superiore a quello del grano duro, in modo da garantire sicurezza e stabilità di prezzi ai produttori. La società sostiene di mantenere il controllo dei semi solo per esigenze di qualità, poiché li vende agli agricoltori allo stesso prezzo che ha pagato loro per il raccolto l’anno precedente.
Ancora una volta non c’è nulla di strano: nonostante sia un fatto poco noto al grande pubblico, è da tempo che i vegetali si brevettano o si registrano, almeno nei paesi occidentali, il che conferisce al titolare una serie di diritti esclusivi per un periodo limitato, solitamente inferiore ai vent’anni. Ora la protezione del QK-77 è scaduta e la varietà è di pubblico dominio, un po’ come il riso Carnaroli, che ormai tutti possono coltivare. Ma associando quel tipo di grano a un marchio registrato, che non scade mai, Quinn si è garantito a tutti gli effetti un monopolio perenne. Chiunque può coltivare del grano orientale, basta che si rivolga a una delle banche dei semi presenti in varie parti del mondo. Il problema è che nessuno vuole comprare dei grissini di grano orientale. Tutti vogliono quelli di Kamut.
Dal 1992 la richiesta del mercato è in continua crescita, con incrementi annui spettacolari che superano il 70 per cento. Nel 2012 il Kamut è stato coltivato da circa 150 agricoltori su 25.000 ettari[xi]. La Kamut International vende il suo prodotto, oltre che negli Stati Uniti e in Canada, anche in Australia, in Giappone e soprattutto in Europa. Nel 2010 ne ha esportate 12.000 tonnellate. Tutto il Kamut spedito in Europa arriva in Belgio e viene commercializzato da un’unica società, la Ostara, che a sua volta lo rivende agli acquirenti autorizzati nelle varie nazioni.
È interessante notare come l’Italia sia il più grande mercato per il Kamut, con addirittura la metà delle vendite globali,[xii] seguita dalla Germania. Insomma, gli italiani lo adorano. Fin qui niente di strano: anche buona parte del grano duro che usiamo per produrre la nostra amata pasta proviene dall’estero, specialmente dagli Stati Uniti e dal Canada. La cosa che però stride un po’, almeno per me, è vedere il Kamut colonizzare tutti i negozi specializzati in cibi biologici ed ecosostenibili, naturali e a km 0. È vero che è coltivato secondo i dettami dell’agricoltura biologica, ma per arrivare nel negozio di nicchia italiano quel cereale ha dovuto attraversare l’oceano! Non è certo un prodotto «locale». Il cacao e il caffè presenti sugli scaffali arrivano anch’essi d’oltremare, spesso attraverso il circuito equo e solidale, ma si tratta di prodotti che non possono essere coltivati qui da noi, a differenza del grano. Per questo motivo negli ultimi tempi il Kamut è finito nel mirino proprio di quelle associazioni che hanno una visione etica molto rigorosa del cibo e della sua produzione e sostenibilità, e che sono sempre più critiche nei confronti di questo marchio. Che invece è sbarcato in grande stile nella grande distribuzione organizzata e nei prodotti di largo consumo. Nel mio supermercato un pacco di farina di Kamut costa 4,39 euro, più del quadruplo del suo equivalente di grano duro.
Il resto lo trovate nel libro
A presto
Dario Bressanini http://bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2013/05/20/che-ne-sai-tu-di-un-campo-di-kamut%25C2%25AE/
Di recente l’industria alimentare ha rispolverato i cosiddetti «grani antichi», particolari varietà o specie di grano che da decenni o secoli erano state abbandonate dal punto di vista commerciale perché poco remunerative. Alcuni agricoltori le hanno reintrodotte perché, nonostante abbiano rese più basse rispetto al frumento, possono essere coltivate in modo biologico in aree marginali e vendute a un prezzo superiore grazie al favore che incontrano presso i consumatori. Questi mostrano di apprezzare i grani antichi perché li percepiscono come «più naturali» e con interessanti proprietà nutrizionali. Dal canto loro, le aziende alimentari ne sono attratte perché consentono loro di diversificare la produzione in base alle esigenze dei consumatori. I grissini che acquisto io sono disponibili anche nella versione al frumento tradizionale, che costa meno ma piace meno in casa. Pasta e nuovi prodotti da forno (pane, biscotti, piadine, grissini ecc.) che contengono miscele di farine si trovano in gran quantità anche nei negozi specializzati in alimenti biologici e «naturali». Di sicuro, il cereale che riscuote più successo di tutti è il Kamut.
La leggenda racconta che, subito dopo la seconda guerra mondiale, un pilota militare americano abbia trovato in un’antica tomba vicino a Dashare, in Egitto, una manciata di semi vecchi di quattromila anni. Nel 1949 regalò trentasei chicchi a un amico, Earl Deadman, che li spedì a suo padre, un agricoltore del Montana. Quei semi vennero piantati e, miracolosamente, trentadue di essi germinarono, consentendo l’avvio di una piccola produzione. Portato in giro per le fiere agricole del Montana negli anni Sessanta come curiosità, quel cereale con i suoi chicchi grandi (il doppio rispetto al frumento comune) venne soprannominato «grano del faraone Tut». Nel giro di poco tempo la novità scemò e quel grano venne dimenticato.[i]
Nel 1977, i Quinn, una famiglia di agricoltori di Big Sandy nel Montana, recuperarono nello scantinato di un amico una scatola contenente quei semi, li seminarono e li moltiplicarono. Nel 1987 Bob Quinn, il più giovane della famiglia, con un dottorato in patologia vegetale e una buona propensione per gli affari, decise di usare un nome egizio per dare un’identità riconoscibile a quel grano e commercializzarlo. Consultando un dizionario dei geroglifici egizi nella biblioteca locale, accanto alla descrizione di grano e pane trovò la parola «kamut». Il 3 aprile 1989 Quinn registrò il nome Kamut e fondò la Kamut International.[ii] Non a caso nel marchio della società, presente su ogni confezione di prodotti di questo tipo, compare una piramide egizia. Kamut quindi non è il nome di una specie vegetale, ma un marchio registrato (da qui l’uso obbligatorio del simbolo ® su tutti i prodotti che lo contengono) che sfrutta a fini pubblicitari le sue supposte origini egizie, il fatto di essere un «grano antico» e, come vedremo, le sue presunte qualità nutrizionali.
Una leggenda accattivante
La farina di Kamut dei miei grissini è quindi la stessa che utilizzavano gli antichi egizi, arrivata a noi grazie a quel ritrovamento archeologico? No. La leggenda, sicuramente accattivante, è molto probabilmente inventata. È estremamente improbabile che dei semi possano germinare ancora dopo quattromila anni e, in più, pare che gli antichi egizi coltivassero farro e orzo. Il frumento si sarebbe diffuso in Egitto solo durante il periodo Tolemaico (332-330 a.C.).[iii]
Quando i biologi parlano di frumento, intendono più correttamente il «genere» Triticum, che comprende molte centinaia di specie diverse. Alcune le conoscete sicuramente: oltre al frumento duro (Triticum durum) con cui facciamo la pasta, e quello tenero (Triticum aestivum), più usato per il pane e la pasticceria,[iv] troviamo per esempio anche il farro (Triticum dicoccum). Nel corso dei secoli sono state coltivate in giro per il mondo, anche se non in modo così diffuso, altre specie di Triticum geneticamente simili al grano duro come il Triticum turgidum, specialmente le sottospecie polonicum e turanicum. Quest’ultimo è anche chiamato «grano orientale» o grano Khorasan, dal nome della provincia dell’Iran dove ancora oggi si coltiva. Ecco quindi spiegata l’origine di quel nome, Khorasan, sull’etichetta dei miei grissini.
Questo grano è stato descritto per la prima volta nella letteratura scientifica nel 1921,[v] ma alcuni accenni si trovano già nel secolo precedente. Pare che abbia avuto origine nella regione turca dell’Anatolia e sia stato coltivato, sebbene mai in modo intensivo, in zone marginali dell’Asia e dell’Africa settentrionale come l’Egitto, dove è ancora possibile trovarlo al mercato. Da lì, probabilmente, una manciata di semi è finita nel Montana. Non era quindi necessario vestire i panni di Indiana Jones e scavare nelle tombe egizie per scovare i semi del grano Khorasan: bastava andare al mercato, come probabilmente è successo. L’ipotesi più accreditata è che il Kamut sia una selezione relativamente moderna del grano orientale, e neppure la Kamut International spinge o diffonde più la storia del ritrovamento nella tomba, anche perché ormai non ce n’è più bisogno, data la popolarità ormai raggiunta da questo cereale.
La sua classificazione botanica precisa, così come la sua origine, è tuttora oggetto di dibattito, e studiosi diversi lo classificano e lo chiamano in modi diversi. Ciò è abbastanza comune nel caso del grano, poiché spesso specie differenti possono occasionalmente incrociarsi tra loro o scambiarsi materiale genetico, generando nuove specie o varianti delle originali, che a loro volta si possono incrociare, dando luogo a una rete intricata di rapporti di parentela. Ci sono scienziati che hanno dedicato la loro vita scientifica alla ricostruzione dell’albero genealogico del grano e, sebbene con le moderne analisi del dna si siano fatti enormi passi avanti, il quadro non è ancora del tutto chiaro.[vi] In ogni caso è comunque un parente geneticamente stretto del grano duro.
Uno studio dell’Università di Teramo e dell’Istituto sperimentale dei cereali ha dimostrato che le rese produttive del Khorasan sono tipicamente più basse e hanno una scarsa capacità di adattamento ai cambiamenti ambientali rispetto ad altre tipologie di grano.[vii] In generale, a confronto con le moderne varietà, le caratteristiche agronomiche dei grani antichi paiono inferiori essendo scarsamente resistenti a varie malattie e funghi, aspetti molto importanti per l’agricoltore. D’altra parte questi grani sembrano più adatti a essere coltivati in zone dove piove poco e l’irrigazione è scarsa. Una caratteristica peculiare dei chicchi di Kamut è che sono molto grossi, anche il doppio dei normali chicchi di grano, con un buon contenuto di glutine e di proteine. In generale le sue caratteristiche nutrizionali non sono molto diverse da molte varietà di grano duro, ma il sapore è diverso: come ho detto, i miei figli preferiscono nettamente i grissini di Kamut a quelli di frumento normale della stessa azienda.
Un marchio registrato
Il mondo dell’alimentazione è pieno di marchi aziendali, per cui non c’è nulla da stupirsi. La cosa più unica che rara in questo caso è che un’abile strategia di marketing ha indotto il grande pubblico ad associare il nome Kamut al grano Khosaran, e poiché il nome è un marchio registrato, nessuno lo può usare se non alle condizioni della Kamut International. Qualsiasi agricoltore, anche in Italia, può seminare il grano Khorasan, ma non lo può chiamare Kamut. Il valore commerciale del suo raccolto finisce così per essere talmente basso da non ripagare gli svantaggi della coltivazione, tra cui principalmente le basse rese.
Nel 1990 Bob Quinn ha chiesto e ottenuto la protezione di quella varietà vegetale registrandola all’USDA (il ministero dell’Agricoltura statunitense) con il nome ufficiale di QK-77.[viii] A tutti gli effetti ne è diventato il «proprietario», perché un «certificato di protezione» è una specie di brevetto e conferisce a chi lo detiene quasi gli stessi diritti di proprietà intellettuale. In particolare, una volta diventata «proprietaria» della varietà QK-77, la Kamut International era l’unica titolata a commercializzarla. Se un agricoltore avesse voluto seminare quei semi e vendere il prodotto, non avrebbe potuto farlo senza l’autorizzazione della società e il relativo pagamento delle royalties.
Solo le aziende autorizzate possono acquistare, commercializzare e macinare questo cereale. La produzione del Kamut è regolata in modo molto rigoroso e sotto lo stretto controllo dalla Kamut International: deve avvenire in modo biologico certificato e rispettare una serie di norme.[ix] È coltivato quasi esclusivamente nel Montana e negli stati canadesi dell’Alberta e del Saskatchewan. La Kamut International afferma che sono stati fatti tentativi sperimentali di coltivazione del grano orientale in Europa (e anche in Italia), ma con poco successo sino a ora.[x]
Gli agricoltori che coltivano il Kamut sono scelti in base alle esigenze del mercato dalla Kamut International, che vende loro i semi e rileva il raccolto a un prezzo prestabilito, solitamente superiore a quello del grano duro, in modo da garantire sicurezza e stabilità di prezzi ai produttori. La società sostiene di mantenere il controllo dei semi solo per esigenze di qualità, poiché li vende agli agricoltori allo stesso prezzo che ha pagato loro per il raccolto l’anno precedente.
Ancora una volta non c’è nulla di strano: nonostante sia un fatto poco noto al grande pubblico, è da tempo che i vegetali si brevettano o si registrano, almeno nei paesi occidentali, il che conferisce al titolare una serie di diritti esclusivi per un periodo limitato, solitamente inferiore ai vent’anni. Ora la protezione del QK-77 è scaduta e la varietà è di pubblico dominio, un po’ come il riso Carnaroli, che ormai tutti possono coltivare. Ma associando quel tipo di grano a un marchio registrato, che non scade mai, Quinn si è garantito a tutti gli effetti un monopolio perenne. Chiunque può coltivare del grano orientale, basta che si rivolga a una delle banche dei semi presenti in varie parti del mondo. Il problema è che nessuno vuole comprare dei grissini di grano orientale. Tutti vogliono quelli di Kamut.
Dal 1992 la richiesta del mercato è in continua crescita, con incrementi annui spettacolari che superano il 70 per cento. Nel 2012 il Kamut è stato coltivato da circa 150 agricoltori su 25.000 ettari[xi]. La Kamut International vende il suo prodotto, oltre che negli Stati Uniti e in Canada, anche in Australia, in Giappone e soprattutto in Europa. Nel 2010 ne ha esportate 12.000 tonnellate. Tutto il Kamut spedito in Europa arriva in Belgio e viene commercializzato da un’unica società, la Ostara, che a sua volta lo rivende agli acquirenti autorizzati nelle varie nazioni.
È interessante notare come l’Italia sia il più grande mercato per il Kamut, con addirittura la metà delle vendite globali,[xii] seguita dalla Germania. Insomma, gli italiani lo adorano. Fin qui niente di strano: anche buona parte del grano duro che usiamo per produrre la nostra amata pasta proviene dall’estero, specialmente dagli Stati Uniti e dal Canada. La cosa che però stride un po’, almeno per me, è vedere il Kamut colonizzare tutti i negozi specializzati in cibi biologici ed ecosostenibili, naturali e a km 0. È vero che è coltivato secondo i dettami dell’agricoltura biologica, ma per arrivare nel negozio di nicchia italiano quel cereale ha dovuto attraversare l’oceano! Non è certo un prodotto «locale». Il cacao e il caffè presenti sugli scaffali arrivano anch’essi d’oltremare, spesso attraverso il circuito equo e solidale, ma si tratta di prodotti che non possono essere coltivati qui da noi, a differenza del grano. Per questo motivo negli ultimi tempi il Kamut è finito nel mirino proprio di quelle associazioni che hanno una visione etica molto rigorosa del cibo e della sua produzione e sostenibilità, e che sono sempre più critiche nei confronti di questo marchio. Che invece è sbarcato in grande stile nella grande distribuzione organizzata e nei prodotti di largo consumo. Nel mio supermercato un pacco di farina di Kamut costa 4,39 euro, più del quadruplo del suo equivalente di grano duro.
Il resto lo trovate nel libro
A presto
Dario Bressanini http://bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2013/05/20/che-ne-sai-tu-di-un-campo-di-kamut%25C2%25AE/
lunedì 11 novembre 2013
Energie rinnovabili fanno il 36% della produzione elettrica da gennaio a ottobre
un utile libro su come fare il pane
domenica 10 novembre 2013
sabato 9 novembre 2013
venerdì 8 novembre 2013
giovedì 7 novembre 2013
mercoledì 6 novembre 2013
In Germania la crescita delle rinnovabili sta mettendo in difficolta il carbone
FARINA 00 VELENO: ECCO IL PERCHE’
Secondo un guru del crudismo, sembra che la farina 00 faccia male e sia un vero e proprio veleno per la nostra alimentazione.
Durante la trasmissione di Daria Bignardi "Le invasioni barbariche",
l'ospite Marco Benedettimi ha sostenuto una tesi piuttosto curiosa: la
farina 00 è il principale veleno della nostra alimentazione.
Noto
nel web per essere un guru nel settore del crudismo, sostiene nel suo
sito Rawsfoods.it che "questo tipo di prodotto industriale che non ha
quasi più niente di naturale è stato privato di 2 parti fondamentali del
seme del grano: La crusca all'esterno ed il germe all'interno
(l'embrione)."
E inoltre "Una dieta
basata principalmente su questo prodotto è la causa principale di
malnutrizione, costipazione, stanchezza e numerose malattie croniche."
Marco Benedettimi, inoltre, aggiunge che il consumo di farina 00,
essendo raffinata, ci porta ad una maggiore produzione di insulina che
"favorisce il deposito di grasso, il passaggio ad un rapido aumento di
peso e di trigliceridi elevati, che può portare a malattie cardiache.
Nel tempo, il pancreas diventa così carico di lavoro che la produzione
di insulina si blocca, e ipoglicemia (poco zucchero nel sangue) o
diabete vengono a galla. Non è un caso che il diabete sia una delle
malattie più diffuse negli ultimi decenni. Ci sono bambini che nascono
già diabetici negli Usa a causa degli errori alimentari dei loro
genitori e in Italia la percentuale di celiachia e intolleranza al
glutine (presente nel frumento) cresce ogni anno del 10 %."
Conclude
inoltre dicendo che "la farina di grano raffinata è il combustibile che
alimenta le infezioni e gli alti livelli di zucchero nel sangue creando
un terreno fertile per batteri dannosi ed un conseguente indebolimento
del sistema immunitario".
(Fonte: http:// saporiericette.blogosfere.it/ 2012/02/ farina-00-veleno-ecco-il-perche .html)
martedì 5 novembre 2013
lunedì 4 novembre 2013
I consumi di acqua devono essere piu' controllati perchè non si puo' e non si deve sprecare l'acqua. Ma abbiamo mai pensato a quanta acqua ci vuole per produrre il cibo che mangiamo???
Il consumo per produrre la carne è abnorme, ricordiamocelo quando la mangiamo e se possiamo cerchiamo di evitarla.
Consigli , forse scontati per una corretta alimentazione
Gli additivi...questi sconosciuti
domenica 3 novembre 2013
Un muro che purifica l’aria e fa crescere erbe aromatiche
Quindi, ancora una volta, consumatori attenti!
sabato 2 novembre 2013
venerdì 1 novembre 2013
Scie chimiche un'altra voce....
SCIE CHIMICHE E PIRATERIA GIUDIZIARIA
di Gianni Lannes
Un'idea non la puoi arrestare: impossibile sequestrare la conoscenza. Un intollerabile abuso di potere
con sprezzo del ridicolo! Anzi, prove concrete di regime totalitario.
Ieri la Polizia Postale ha fatto irruzione nella casa dei fratelli
Marcianò (che non conosco personalmente e non ho mai incontrato) e ha
sequestrato computers e materiali sulle scie chimiche. I Marcianò, come è
abbastanza noto, da anni fanno informazione in materia! Ammettendo per
assurdo che la guerra ambientale con finalità segrete, ma palese nei
suoi effetti, è una leggenda metropolitana, allora perché sequestrare la
documentazione ai Marcianò?
Sono curioso di leggere la motivazione in eventuale punta di diritto che
il magistrato ha usato per giustificare un simile atto. E già che ci
siamo anche nome e cognome del pm per potergli porre qualche domanda.
Ecco, se adesso qualcuno pensa ancora di vivere in uno Stato di diritto,
ha la riprova concreta del contrario. Se il sistema di potere dominante
giunge a questo abominio con una gravissimo atto intimidatorio, allora è
in crisi profonda. Tutti muti e obbedienti, anzi ossequienti.
Non fatevi illusioni. In Italia la democrazia è stata ammazzata già da
un bel pezzo! Siamo vittime e cavie di una guerra ambientale non
dichiarata. E guai a chi fiata!
Fermare la diffusione del sapere è uno strumento di controllo per il
potere, perché conoscere è saper leggere, interpretare, verficare di
persona e non fidarsi di quello che ti dicono. La conoscenza ti fa
dubitare. Soprattutto del potere. Di ogni potere.
La segretezza è il principio della tirannia. Frignare non serve a
niente, piuttosto bisogna combattere concretamente l'annientamento
dell'essere umano pianificato da chi detiene il potere economico e
politico! L'informazione libera e indipendente è il sale della
democrazia.
SU LA TESTA!
TRATTO DA:
http:// sulatestagiannilannes.blogspot. it/2013/10/ scie-chimiche-e-pirateria-giudi ziaria.html
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set=a.1362866399893.52729.1478 581712&type=1&theater
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http://
giovedì 31 ottobre 2013
L’ acqua minerale in bottiglia
Ma quale acqua è la migliore da bere ?
In questo articolo , dedicheremo la nostra
attenzione sulle acque comunemente in commercio, che noi conosciamo come
acque in bottiglia.
La nostra attenzione non sarà dedicata al
loro sapore o al loro gusto, ma solo al loro contenuto di Sali minerali.
Il gusto è soggettivo e pertanto è variabile da soggetto a soggetto.
Le proprietà dell’ acqua no: sono costanti e indicate in etichetta.
Le indicazioni sono così tante che è veramente difficile capire cosa stiamo bevendo.
Sfatiamo il mito dell’ utilità dei Sali minerali contenuti nell’ acqua !
Tutti i Sali Minerali , fondamentali al pari delle vitamine per il nostro metabolismo, sono Sali Minerali organici . i Sali minerali organici, sono biodisponibili e utilizzabili dal nostro organismo. ( es: Germanio )
I Sali minerali contenuti nell’ acqua sono Sali minerali inorganici. Immaginate di ingerire polvere di ferro per aumentare il livello ematico di ferro o di magiare polvere di pietra calcarea per aumentare il livello di calcio e curare l’ osteoporosi !!
Esiste una sola acqua che fa veramente bene alla salute: è quella con residuo fisso inferiore a 50 mg litro.
Maggiore è il residuo fisso è maggiore è la difficoltà che i nostri reni dovranno fare per filtrarla !
Se bevete acqua con molti Sali minerali, danneggiate il vostro corpo, favorendo calcoli renali, depositi a livello dei vasi sanguigni e a livello del cervello. Favorite l’ invecchiamento precoce
Focus :Residuo fisso dell’ acqua minerale. Come proteggersi !
Non tutte le acque minerali sono uguali: ognuna ha caratteristiche specifiche che dipendono dal tipo di sali in essa sono disciolti.
Le acque, scorrendo nel sottosuolo, raccolgono i Sali minerali presenti nelle rocce. In base al tipo di minerali in esse disciolti, indicati come "residuo fisso" (cioè la quantità di sali minerali depositati da un litro di acqua fatto evaporare a 180°.
Le acque minerali vengono classificate in base al residuo fisso:
Le proprietà dell’ acqua no: sono costanti e indicate in etichetta.
Le indicazioni sono così tante che è veramente difficile capire cosa stiamo bevendo.
Sfatiamo il mito dell’ utilità dei Sali minerali contenuti nell’ acqua !
Tutti i Sali Minerali , fondamentali al pari delle vitamine per il nostro metabolismo, sono Sali Minerali organici . i Sali minerali organici, sono biodisponibili e utilizzabili dal nostro organismo. ( es: Germanio )
I Sali minerali contenuti nell’ acqua sono Sali minerali inorganici. Immaginate di ingerire polvere di ferro per aumentare il livello ematico di ferro o di magiare polvere di pietra calcarea per aumentare il livello di calcio e curare l’ osteoporosi !!
Esiste una sola acqua che fa veramente bene alla salute: è quella con residuo fisso inferiore a 50 mg litro.
Maggiore è il residuo fisso è maggiore è la difficoltà che i nostri reni dovranno fare per filtrarla !
Se bevete acqua con molti Sali minerali, danneggiate il vostro corpo, favorendo calcoli renali, depositi a livello dei vasi sanguigni e a livello del cervello. Favorite l’ invecchiamento precoce
Focus :Residuo fisso dell’ acqua minerale. Come proteggersi !
Non tutte le acque minerali sono uguali: ognuna ha caratteristiche specifiche che dipendono dal tipo di sali in essa sono disciolti.
Le acque, scorrendo nel sottosuolo, raccolgono i Sali minerali presenti nelle rocce. In base al tipo di minerali in esse disciolti, indicati come "residuo fisso" (cioè la quantità di sali minerali depositati da un litro di acqua fatto evaporare a 180°.
Le acque minerali vengono classificate in base al residuo fisso:
- Minimamente mineralizzate: hanno un contenuto di sali minerali inferiore a 50 milligrammi per litro; si tratta di acque "leggere" che in quanto povere di sali minerali favoriscono la diuresi e facilitano l'espulsione di piccoli calcoli renali. In virtù dei pochi sali minerali , sono ottime acque da tavola, adatte ad essere bevute quotidianamente.
- Oligominerali: hanno un contenuto di sali minerali non superiore ai 500 milligrammi per litro. Sono le più comuni.
- Minerali: il residuo fisso è compreso tra 500 e 1000 milligrammi (1 g) per litro. Contengono una percentuale consistente di sali minerali e pertanto non devono essere bevute in quantità eccessive (fino a un litro al giorno), alternandole con acqua oligominerale. Hanno applicazioni diverse a seconda del tipo di sostanze in esse presenti (calcio, zolfo, ferro, magnesio, bicarbonato...).
- Ricche di sali minerali: il residuo fisso è di oltre 1500 milligrammi per litro. Sono molto ricche di sali, pertanto devono essere bevute specificamente a scopo curativo e su consiglio medico.
Autore: Alessandro Di Coste
mercoledì 30 ottobre 2013
martedì 29 ottobre 2013
lunedì 28 ottobre 2013
domenica 27 ottobre 2013
venerdì 25 ottobre 2013
giovedì 24 ottobre 2013
olio di Neem rimedio naturale contro infezioni virali e batteriche
Uno dei rimedi naturali più accreditati per combattere i pidocchi è l’olio di Neem
acquistabile sia in farmacia che in erboristeria. In purezza, l’olio di
Neem ha un odore particolarmente sgradevole ma è proprio questo che
scoraggia i pidocchi ad attaccarsi ai capelli e alla cute. Passatene
alcune gocce sulla chioma soffermandovi sulle attaccature dei capelli, dove indugerete applicando una maggiore quantità di prodotto.
L’olio di Neem – utilizzato da secoli nella medicina ayurvedica indiana – ha proprietà antivirali, antibatteriche, antisettiche e antifungine che lo rendono perfetto sia per il trattamento della cute umana che di quella animale, spesso esposta all’attacco di insetti e parassiti ben più pericolosi dei pidocchi.
Non a caso è utilizzato in preparazioni cosmetiche ed erboristiche come rimedio naturale contro infezioni virali e batteriche, herpes, forfora, ulcere ma soprattutto come anti-zanzare. Dopo ogni utilizzo voi e il vostro bimbo strizzerete un po’ il naso, ma non credete sia meglio che ricorrere a insetticidi chimici e neurotossine ?
L’olio di Neem – utilizzato da secoli nella medicina ayurvedica indiana – ha proprietà antivirali, antibatteriche, antisettiche e antifungine che lo rendono perfetto sia per il trattamento della cute umana che di quella animale, spesso esposta all’attacco di insetti e parassiti ben più pericolosi dei pidocchi.
Non a caso è utilizzato in preparazioni cosmetiche ed erboristiche come rimedio naturale contro infezioni virali e batteriche, herpes, forfora, ulcere ma soprattutto come anti-zanzare. Dopo ogni utilizzo voi e il vostro bimbo strizzerete un po’ il naso, ma non credete sia meglio che ricorrere a insetticidi chimici e neurotossine ?
Pompa solare . Una fantastica invenzione per irrigare in modo ecologico...
mercoledì 23 ottobre 2013
martedì 22 ottobre 2013
lunedì 21 ottobre 2013
domenica 20 ottobre 2013
sabato 19 ottobre 2013
Strani fenomeni nei cieli ed in terra in tutto il mondo, cosa accade???
venerdì 18 ottobre 2013
giovedì 17 ottobre 2013
Nelle acque minerali tracce di alluminio,arsenico e perfino uranio
mercoledì 16 ottobre 2013
martedì 15 ottobre 2013
sabato 12 ottobre 2013
Gli effetti micidiali dell’alluminio sul nostro corpo
venerdì 11 ottobre 2013
I 15 usi alternativi del dentifricio
giovedì 10 ottobre 2013
Marte e le sue "misteriose ed immense foreste"
Forse non tutti sanno dell’esistenza di alcune sconvolgenti fotografie trasmesse a terra dalla MOC (Mars Orbiter Camera(MOC) a bordo della sonda MGS (Mars Global Surveyor) prima che smettesse di funzionare “morendo” il 2 novembre 2006.
Oltre alle
fotografie di strutture rassomiglianti a tunnel trasparenti all’interno
di canyon, osserviamo la presenza di “cose” che sembrano alberi riuniti
in gruppi sparsi o intere foreste.
La
possibilità dell’esistenza di vita extraterrestre ha sempre affascinato
l’umanità. Per altro, tra gli scienziati si è fatta strada l’idea che
se la vita esiste su Marte, questa debba essere allo stadio di batterio.
Nondimeno, ci sono delle immagini riprese dalla MOC che rimangono inesplicabili.
È il caso della
foto scattata a latitudine -82.02°, longitudine 284.38° (vicino al polo
Sud marziano) che ha mostrato qualcosa di incredibile ma tutt’ora
trascurato: una qualche forma di vegetazione su Marte.
(immagine n° M08-04688, link ufficiale: http://ida.wr.usgs.gov/html/m08046/m0804688.html)
Queste
formazioni assomigliano decisamente a macchie di vegetazione terrestri,
compresi i sistemi di ramificazioni, fotografate dall’alto. Ecco un
lembo di suolo marziano ripreso dalla MOC che mostra alberi. La più
semplice spiegazione per tali immagini, seguendo il dettame detto del
rasoio di Occam, è che si tratti di organismi vegetali di un qualche
genere.
Raffrontando la scala questi “organismi” possono essere enormi, alti fino a un chilometro.
Tuttavia,
ragioniamo sulle condizioni ecologiche del pianeta rosso. Ora su Marte
c’è un clima rigidissimo ma anche in Siberia nella cui taiga esistono
numerose specie arboree.
La condizione
sine qua non per la crescita delle piante (sulla Terra), specie
gimnosperme molto resistenti non sono la tenue pressione atmosferica e
la minore gravità che, anzi, unite all’abbondanza di anidride carbonica
gassosa, costituiscono un vantaggio per le piante, ma la presenza di
acqua liquida nel suolo.
C’è acqua allo
stato liquido nel sottosuolo di Marte? Le piante che vivono nel
permafrost potrebbero adattarsi a Marte? Buona domanda o no?
Gli organismi vegetali (terrestri) per vivere, crescere e riprodursi hanno fondamentalmente bisogno di tre cose:
Acqua (allo stato liquido)
Luce (inteso anche come un intervallo di temperatura)
Nutrienti minerali e anidride carbonica (da organicare attraverso la fotosintesi clorofilliana)
Ora, su Marte
la quantità di luce che arriva al suolo è simile a quella che raggiunge
la superficie terrestre (la maggior distanza dal Sole è compensata da un
atmosfera più rarefatta). Data l’enorme effetto serra prodotto dalla
CO2 in atmosfera anche la temperatura al suolo, specie ai tropici, non
deve essere troppo bassa. Inoltre sul pianeta rosso esiste la
disgregazione meteorica eolica e termica delle rocce per cui esiste la
possibilità della disseminazione tramite il vento (anemocora) e il
substrato per l’attività radicale delle piante. Le Conifere (pini,
abeti, larici, sequoie) sono piante antichissime che una volta
dominavano le terre emerse in particolare durante il periodo Carbonifero
(350-300 milioni di anni orsono), così chiamato perché i tronchi di
questi esseri vegetali con il tempo fossilizzarono diventando l’attuale
carbone fossile.
Se ben
guardiamo, non ci sono controindicazioni biologiche alla crescita
regolare di alcune specie di piante arboree simili alle conifere
terrestri su Marte.
Atmosfera più
rarefatta che sulla Terra quindi maggior necessità di superfici per
l’interscambio gassoso compensata dalla maggiore quantità di anidride
carbonica
Gravità un terzo di quella terrestre che favorisce la crescita geotropica
Probabile mancanza di parassiti e infestanti specifici
Durata del giorno (ritmo circadiano) simile alla Terra e alternanza delle stagioni sebbene di durata doppia
Sotto tali
condizioni l’ipotesi dell’esistenza di esseri vegetali giganteschi
diventa più accettabile. Sovente questi “boschetti” si allargano attorno
ad apparenti bacini contenenti del liquido, presumibilmente acqua. Del
resto perché non ci dovrebbe essere? L’ossigeno è abbondantissimo su
Marte sia nelle rocce perlopiù ossidi (composti dell’ossigeno) sia
nell’aria ricchissima di anidride carbonica. L’idrogeno che serve per
formare l’H2O è l’elemento più comune nell’universo.
La necessità di
celare l’esistenza di esseri vegetali viventi su Marte giustifica anche
i sospetti che il colore del cielo marziano venga alterato onde celare
il colore azzurrognolo causa la presenza di ossigeno di origine
biologica.
Nessuno
scienziato sta attualmente studiando questa documentazione. Perché? A
quale scopo mantenere questo incommensurabile segreto?
La questione è probabilmente di ordine religioso.
Il sistema
economico globale si regge grazie ai conflitti di religione. Religione
in senso metafisico e metaforico di superiorità di un sistema economico
sull’altro, di una razza sull’altra, di un ordine sociale su di un
altro, lo scontro di civiltà.
Se si scoprisse
che antichissime civilizzazioni hanno costruito immense strutture su
Marte, già visibili nel 1800 da Schiaparelli, il nostro mondo eretto su
dogmi scolpiti nella sabbia crollerebbe.
Alla Nasa a
mezza bocca ammettono di tenere nascosto tutto perché “non sappiamo
gestire la verità” (“We can’t handle the truth”). Infatti, riflettete,
quale sarebbe la conseguenza filosofica del non conoscere quale Dio ha
creato la vita su Marte. Una umanità tremante e sgomenta alzerebbe gli
occhi al Cielo domandandosi:
Il mio Dio o il tuo Dio?
Quale Entità più equanime, più salvifica, più misericordiosa ha piantato alberi sul suolo di un altro pianeta?
Di fronte al
dilemma angosciante le guerre si fermerebbero, così il commercio di
armi, i consumi si arresterebbero, con la produzione industriale che
collasserebbe.
Tutti i giorni vengono commessi crimini efferati in nome di un Dio trascendente o soggettivo che è causa di orrore anziché pace.
Ai
leader religiosi sfuggirebbe il controllo delle masse alla stregua dei
politici. Si ritornerebbe al caos primordiale, ossia prima che la morale
delle religioni e l’etica delle istituzioni laiche mettessero ordine
tramite i loro dettami.
Per questo,
nonostante la NASA abbia fornito immagini eloquentissime, di condotti
artificiali, di intere foreste, di costruzioni erette per ingraziare
qualche divinità su Marte, non ne sentiamo parlare. Forse.
A confermare la
volontà di mantenere lontano dalle “masse” queste argomentazioni
subentra oggi anche il totale silenzio della missione “Curiosity”
sull’argomento. Come mai ci sono arrivate solo immagini provenienti da
altopiani rocciosi e non si è mostrato nulla né parlato, anche come
smentita, delle straordinarie foreste di Marte?
Qualche chiarimento sul pellet
Questo
combustibile consente risparmi interessanti sul riscaldamento: fino a
oltre mille euro all'anno. L'acquisto di stufe e caldaie apposite gode
di vari tipi di incentivi, prima fra tutti la detrazione del 50%.
Scegliere il pellet da acquistare però non è sempre facile: abbiamo
chiesto qualche consiglio.
Ai
prezzi attuali del combustibile, una stufa a pellet in una stagione può
tagliare le spese per il riscaldamento da 100 a oltre 1.200 euro a
seconda del tipo di impianto che va ad integrare. Questo modo si
scaldare le nostre abitazioni è sempre più popolare: in Italia oggi ci
sono circa 1,7 milioni di stufe a pellet e circa 50-60mila caldaie a uso
domestico.
Stufe e caldaie a pellett d'altra parte godono anche di diversi incentivi. La facilitazione più usata sono le detrazioni fiscali per le ristrutturazioni edilizie, attualmente al 50%, che valgono anche per l'acquisto ex novo e danno diritto a vedersi rimborsata la percentuale di spesa sotto forma di detrazione Irpef (in 10 rate di pari importo su 10 anni). C'è poi il conto termico, un contributo variabile in base alla zona climatica e alla potenza installata erogato in due anni che però si rivolge solo alle sostituzioni di apparecchi già installati: stufe a legna o vecchie stufe a pellet, e, per le caldaie, caldaie a biomassa o a gasolio e, solo per le aziende agricole, GPL.
La convenienza è molto alta. Basta guardare il grafico qui sotto che mostra il costo a MWh dei vari carburanti, calcolato da Assopellet in base ai prezzi aggiornati:
Considerando
che una stufa a pellet produce 7,2 MWh termici in un anno (cioè consumi
1,5 tonnellate di pellet, un dato medio per molte case al nord Italia),
il pellet farebbe risparmiare circa 1.200 euro nel caso vada ad
integrare un impianto a GPL, che diventano 525 nel caso del gasolio e
circa 100 per il metano.
Ma come scegliere il pellet migliore? Il consiglio che ci dà Annalisa Paniz, è di optare, quando possibile per prodotti certificati. Il marchio europeo è l'EN Plus che divide i prodotti in 3 categorie a seconda delle caratteristiche chimico-fisiche del pellet: la A1 per il pellet più pregiato, una seconda, detta A2, e una terza contrassegnata con la lettera B nella quale finisce il pellet più scadente, adatto solo ad esser bruciato per usi industriali.
Per quel che riguarda il potere calorifico, scopriamo che l'importanza di quanto scritto in etichetta è relativa: “Diversi produttori indicano valori fuorvianti, scrivendo il potere calorifico del pellet allo 'stato anidro': possiamo trovare sulle etichette valori tipo 5,3 kWh/kg. In realtà il potere calorifico reale del pellet è attorno ai 4,7-4,8 kWh/kg, ossia circa 16 MegaJoule. Cifre più alte sono false: il potere calorifico non può essere considerato allo stato anidro ma va misurato per quello specifico pellet con il suo contenuto idrico, mediamente del 6-8%".
Ma la qualità del pellet si può capire a una semplice ispezione visiva? La nota distinzione tra pellet chiaro e pellet scuro, scopriamo, “non ha fondamento: può dipendere dal tipo di essicatoio, quello a tamburo tende a tostare leggermente il pellet, dandogli un colore più scuro”. “La cosa importante – consiglia Paniz - è prendere in mano il sacco e vedere quanti residui di pellet sbriciolato ci sono: deve essere compatto, molti residui indicano pellet di scarsa qualità e che ha subito lunghi spostamenti”
Fonte: qualenergia.it
Stufe e caldaie a pellett d'altra parte godono anche di diversi incentivi. La facilitazione più usata sono le detrazioni fiscali per le ristrutturazioni edilizie, attualmente al 50%, che valgono anche per l'acquisto ex novo e danno diritto a vedersi rimborsata la percentuale di spesa sotto forma di detrazione Irpef (in 10 rate di pari importo su 10 anni). C'è poi il conto termico, un contributo variabile in base alla zona climatica e alla potenza installata erogato in due anni che però si rivolge solo alle sostituzioni di apparecchi già installati: stufe a legna o vecchie stufe a pellet, e, per le caldaie, caldaie a biomassa o a gasolio e, solo per le aziende agricole, GPL.
La convenienza è molto alta. Basta guardare il grafico qui sotto che mostra il costo a MWh dei vari carburanti, calcolato da Assopellet in base ai prezzi aggiornati:
Ma come scegliere il pellet migliore? Il consiglio che ci dà Annalisa Paniz, è di optare, quando possibile per prodotti certificati. Il marchio europeo è l'EN Plus che divide i prodotti in 3 categorie a seconda delle caratteristiche chimico-fisiche del pellet: la A1 per il pellet più pregiato, una seconda, detta A2, e una terza contrassegnata con la lettera B nella quale finisce il pellet più scadente, adatto solo ad esser bruciato per usi industriali.
Per quel che riguarda il potere calorifico, scopriamo che l'importanza di quanto scritto in etichetta è relativa: “Diversi produttori indicano valori fuorvianti, scrivendo il potere calorifico del pellet allo 'stato anidro': possiamo trovare sulle etichette valori tipo 5,3 kWh/kg. In realtà il potere calorifico reale del pellet è attorno ai 4,7-4,8 kWh/kg, ossia circa 16 MegaJoule. Cifre più alte sono false: il potere calorifico non può essere considerato allo stato anidro ma va misurato per quello specifico pellet con il suo contenuto idrico, mediamente del 6-8%".
Ma la qualità del pellet si può capire a una semplice ispezione visiva? La nota distinzione tra pellet chiaro e pellet scuro, scopriamo, “non ha fondamento: può dipendere dal tipo di essicatoio, quello a tamburo tende a tostare leggermente il pellet, dandogli un colore più scuro”. “La cosa importante – consiglia Paniz - è prendere in mano il sacco e vedere quanti residui di pellet sbriciolato ci sono: deve essere compatto, molti residui indicano pellet di scarsa qualità e che ha subito lunghi spostamenti”
Fonte: qualenergia.it
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